mercoledì 3 gennaio 2007

Anoressia Maschile

Introduzione

L’anoressia nervosa è stata da sempre considerata una patologia riguardante esclusivamente le donne, a causa della preponderante incidenza proprio nella popolazione femminile e della rarità di casi fra gli uomini. Storicamente gli stessi criteri utilizzati per la diagnosi dell’Anoressia Nervosa e i principali strumenti psicometrici impiegati per lo studio della patologia, sono stati standardizzati su campioni femminili, rendendo attualmente ancora controversa la collocazione diagnostica di casi maschili, spesso ricondotti ad una secondarietà e ad altre patologie psichiatriche.

Nonostante l’apparente assenza di studi condotti sull’anoressia maschile, in letteratura si rintracciano documenti che risalgono al 1689, quando Richard Morton descrisse il caso di un giovane ragazzo di 16 anni affetto da “una totale assenza di appetito”, senza presentare alcun sintomo, che riconducesse il suo stato di graduale dimagrimento ad una patologia di tipo organico.

Dagli anni ’60 ad oggi sono stati condotti diversi studi, principalmente su casi singoli, volti a indagare le caratteristiche peculiari della patologia anoressica negli uomini e le differenze di genere; la rarità delle pubblicazioni e la scarsa rilevanza statistica dovuta a campioni ristretti rendono difficile definire in modo chiaro la cornice all’interno della quale si colloca la sintomatologia anoressica in soggetti maschili, sottolineandone al contrario le incongruenze nei risultati ottenuti.

Un recente studio sulla casistica anoressica compiuto al Servizio di Psichiatria e Psicoterapia dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma ha evidenziato non solo l’aumento dal 1994 al 1996 delle forme maschili (seppur marcatamente inferiori a quelle femminili), ma soprattutto, cosa molto interessante, la netta prevalenza di nevrosi fobico-ossessiva come psicopatologia sottostante al disturbo anoressico maschile.

In uno studio condotto da Renna C. nel 1994 su 1722 studenti frequentanti le scuole medie inferiori e i licei pubblici e privati della città di Lecce è emerso che avevano comportamenti alimentari a rischio il 14,64 % delle femmine vc il 2,86 % dei maschi. Qualche anno più tardi Cuzzolaro M. e coll. nel 2002 rilevarono che su 189 studenti frequentanti il 3 liceo scientifico il avevano comportamenti alimentari a rischio il 15,5 % femmine vc l’ 11,6 % dei maschi. Infine in un’altra indagine condotta nuovamente da Renna C. e coll nel 2005 su un campione di 95 studenti frequentanti la seconda classe della scuola media inferiore risultarono a rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare l’ 11,7 % Femmine vc il 12,8 % Maschi.

Scopo del presente articolo è la raccolta e la lettura critica della letteratura inerente l’Anoressia Nervosa in soggetti di sesso maschile e l’individuazione di caratteristiche peculiari differenti per genere. Dalla lettura critica del materiale selezionato, è stato possibile porre in evidenza alcuni aspetti dell’Anoressia Nervosa nei maschi, che saranno sviluppati qui di seguito:

diagnosi e caratteristiche cliniche

incidenza

esordio

comorbidità

identità di genere e sessualità

ideale corporeo e immagine corporea

condotte compensatorie e di mantenimento

tratti caratteriali e psicologici

aspetti di familiarità con la patologia e le tipologie famigliari

Diagnosi e caratteristiche cliniche

Il 5%-10% dei pazienti che soffrono di anoressia nervosa sarebbero soggetti di sesso maschile.

Per quanto riguarda l’età dell’esordio, essa è, secondo alcuni, la stessa che per il sesso femminile, cioè quella prepuberale. Secondo altri, l’età d’insorgenza non avviene nella primissima adolescenza ma più tardi, forse appunto perché il disturbo, in questi casi, non è legato ai tempi della maturazione femminile.

I soggetti di sesso maschile affetti da anoressia nervosa presenteranno una sintomatologia più grave rispetto a quelli di sesso femminile: sono afflitti da maggiori preoccupazioni inerenti al cibo, al peso e all’alimentazione in genere; ricorrono a svariati sotterfugi per evitare di mangiare, inoltre abusano maggiormente di purganti. Risultano più gravi i disturbi dello sviluppo psico-sessuale e vi è una maggiore tendenza all’iperattività ed alla sintomatologia ossessiva. .

Più gravi sarebbero anche le alterazioni fisiologiche e gli squilibri elettrolitici, mentre all’amenorrea corrisponderebbe la mancanza di potenza e di interesse sessuale.

L’AN è definita nel DSM- IV come il rifiuto a mantenere il proprio peso corporeo al di sopra del peso minimo normale, intenso timore di acquistare peso, alterazione dell’immagine corporea.. Nel sesso femminile si aggiunge un ulteriore criterio: in periodo post- puberale vi è amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.

In letteratura esiste largo consenso nel considerare le caratteristiche cliniche dell’AN in maschi e femmine come sostanzialmente simili, in termini di diagnosi, premorbidità, severità della patologia, caratteristiche demografiche e sociologiche, trattamento ed esito, pur evidenziando nei propri lavori alcune differenze di genere. Nei maschi, tuttavia, risulta più difficile fare diagnosi: il criterio diagnostico dell’amenorrea, che nelle donne rappresenta un forte indicatore di uno stato di malnutrizione prolungato, non può per ovvie ragioni essere utilizzato; ma non esiste allo stato attuale alcun valido parametro comparativo per il sesso maschile. Alcuni autori, in ricerche recenti hanno supportato l’ipotesi di indagare aspetti quali la perdita di interesse sessuale, episodi di impotenza e abbassamento dei livelli di testosterone. Gli uomini affetti da anoressia nervosa arrivano ai servizi con un’alta percentuale di alterazioni fisiche (complicazioni cardiache, atrofie corticali) causate da un avanzato stato di malnutrizione che spesso sono il risultato di un ritardo nella ricerca di attenzioni mediche da parte dei pazienti e del riconoscimento della gravità della patologia da parte dei curanti. Un maschio affetto da anoressia può posticipare la richiesta di cure a causa della vergogna associata alla convinzione e al retaggio culturale di avere una malattia “femminile”. Quest’ultima motivazione può essere all’origine anche della scarsa attenzione che gli stessi curanti prestano alla sintomatologia anoressica in soggetti maschi, avendo forse un livello di sospetto più basso, che porta ad una diagnosi di anoressia solo quando il disturbo risulti essere ormai conclamato.


Incidenza

L’incidenza dell’AN nella popolazione maschile sarebbe dell’0,05 – 0,1% contro il 0,5% della popolazione femminile; il rapporto uomini /donne si delinea come maggiore di 10:1. Studi sulla popolazione hanno però sottolineato un’incidenza più significativa dell’AN in soggetti maschi, considerando le sindromi parziali, più comuni fra gli uomini rispetto alle sindromi totali.

Si parla di sindrome parziale di AN quando vi è la presenza di una inequivocabile, estrema ed irrazionale ansia legata al peso corporeo o alla forma fisica e la concomitante presenza, per almeno tre mesi, di almeno due dei seguenti criteri: a) distrazione dagli impegni quotidiani a causa di preoccupazioni o ansia legata al peso corporeo; b) credenza ingiustificata che il peso sia eccessivo e che il malessere soggettivo possa essere diminuito con la perdita di peso, con il controllo delle calorie assunte o pesandosi frequentemente; c) ansia causata dall’assunzione di pasti considerati in genere normali; d) estrema angoscia causata dalla minima variazione del peso corporeo, esercizio fisico eccessivo, uso di lassativi, anoressizzanti, emetici o diuretici.

Esordio

L’esordio si colloca nella tarda adolescenza o prima età adulta intorno a una media di 19-20 anni, risultato simile al campione femminile; in alcuni studi si delinea la tendenza ad un esordio più tardivo nei maschi ed una durata inferiore di malattia al primo contatto. Carlat, Camargo et al. (1997) hanno condotto una indagine su 135 pazienti maschi affetti da DCA, uno dei lavori con il campione più elevato fra la letteratura scientifica; l’età media di esordio dei pazienti presi in esame era di 19 anni.


Comorbidità

Gli uomini anoressici presentano un’alta comorbidità principalmente con depressione (55%), abuso di sostanze (17%), disturbi di personalità cluster A, B, C (24%); disturbo di dipendenza da alcool (14%) e maggiore iperattività; questi sono i dati riportati dallo studio condotto da Carlat, Camargo et al. (1997) che annovera nel suo campione 135 soggetti di cui 30 con diagnosi di anoressia nervosa.

Fassino et al. ha preso in esame 15 maschi anoressici, delineando i seguenti aspetti: esiste una maggiore comorbidità psichiatrica in maschi affetti da AN che nei maschi del gruppo di controllo; la percentuale di comorbidità, tuttavia, è simile al campione femminile con AN. I pazienti maschi affetti da DCA del campione studiato da Woodside et al. (2001) presentavano alte percentuali in tutte le aree di comorbidità, nettamente superiori ai valori presenti nel campione comparativo di maschi senza DCA, ma non particolarmente dissimili dal campione di donne con DCA. Tali risultati hanno portato gli autori a riflettere sul rapporto fra DCA e altre patologie psichiatriche, nel senso di una derivabilità del disturbo alimentare da una patologia psichiatrica primaria, così come nel senso di una maggiore “vulnerabilità” di soggetti con una patologia psichiatrica a sviluppare un disturbo alimentare. I risultati attesi dagli autori sulla base delle conclusioni degli studi precedenti sono stati confermati dalla loro analisi ed erano una maggiore comorbidità, negli uomini, con disturbi depressivi e abuso di sostanze.

Il sovrappeso sembra essere uno dei fattori di rischio per lo sviluppo dell’AN negli uomini, i quali nella storia pregressa riportano spesso di aver sofferto per le derisioni subite da parte dei pari e dei familiari circa il peso. Il BMI pre-esordio dei maschi anoressici raggiunge il valore di 27,2 contro il 24,3 delle donne. In una ricerca di Fernandez –Aranda (2004) su 30 maschi con DCA, il 45% dei soggetti risultava avere un passato di obesità contro il 15% delle donn

Identità di genere e sessualità

Un dato degno di nota è la correlazione fra sessualità e AN negli uomini: gli omosessuali sono più a rischio nello sviluppo di un DCA e si stima che la percentuale di anoressici che abbiano avuto esperienze o intrattengano relazioni omosessuali vari dal 15 al 50% (contro il 1-6% popolazione maschile generale), anche fra quei pazienti che si definiscono “asessuali”, ovvero che durante il periodo di malattia reprimono attivamente il desiderio sessuale, riducendo l’ansia ad esso connessa.

Dallo studio di Carlat, Camargo et al. (1997) risulta che il 58% del campione maschile affetto da AN, descriveva una perdita totale di interesse da almeno un anno precedente l’assessment iniziale; di questi, il 27% specificava, in ogni caso, un orientamento bisessuale o omosessuale. Dei 17 pazienti anoressici indagati da Manghweth et al. il 17% era omosessuale; anche Bramon- Bosch et al. (2000) concordano su una più alta percentuale di omosessualità fra i maschi anoressici rispetto al campione femminile (un valore circa otto volte maggiore rispetto a quello riscontrato nelle donne).

Hasson M.K. e Tibbets R.W. (1977), descrivono una notevole perdita dell’assertività mascolina o delle identificazioni con altri maschi, così come paura relativa al ruolo eterosessuale.

L’aspetto della sessualità, che pare essere un elemento discriminante fra i generi nel rapporto con la patologia anoressica, non trova supporto in tutti i lavori presenti in letteratura; Andersen, in un lavoro condotto su 7 pazienti anoressici, ha trovato una incidenza dell’omosessualità pari a 0, ed Olivardia prendendo in considerazione 25 studenti che rispondevano ai criteri per la diagnosi di un DCA, non ha evidenziato nessuna discrepanza fra il campione maschile e femminile in termini di orientamento sessuale. Tali risultati, in ogni caso, debbono essere letti tenendo presente che si tratta di studi minori, con un campione più ristretto rispetto a ricerche precedenti, o condotti su campioni di popolazione, i quali rispondono ai criteri diagnostici di un DCA, ma senza essere in cura per tali disturbi o essersi mai rivolti ad un servizio psichiatrico ed aver avuto una diagnosi di DCA.

Sulle possibili interpretazioni di una correlazione fra identità sessuale e disturbo anoressico non esiste ampio materiale in letteratura, ma le ipotesi sono forse da ricercare nel periodo peculiare durante il quale tendenzialmente si riscontrano le prime avvisaglie, se non la piena manifestazione, dell’anoressia.

Il disturbo anoressico insorge primariamente in età adolescenziale, periodo durante il quale uno degli obiettivi primari dello sviluppo è il raggiungimento di una adeguata identità sessuale, lo stabilirsi di legami intimi e la conseguente graduale separazione dalle figure genitoriali. Con l’esperienza dello sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie, i ragazzi devono affrontare l’esigenza di assumere il proprio ruolo maschile nella società, e nella nostra cultura per decenni tale ruolo è stato associato ad un fisico forte e muscoloso

Ideale corporeo e immagine corporea

I maschi anoressici si differenziano dal campione femminile rispetto all’ideale corporeo e all’insoddisfazione per la propria forma fisica: sono meno preoccupati per il peso esatto, meno insoddisfatti del proprio corpo, più rivolti alla forma in termini di accresciuta muscolosità e perdita di grasso e con una condotta alla magrezza più contenuta. Gli uomini non presentano particolari preoccupazioni, ad esempio, per la grandezza di cosce, anche e natiche, non essendo target adeguati; sono invece maggiormente rivolti alle dimensioni delle spalle, della vita e delle anche, pertanto spesso raggiungono punteggi inferiori alle donne nelle scale misuranti la dispercezione corporea o l’insoddisfazione corporea a causa della non specificità degli items contemplati (Lewinsohn 2002).

Condotte compensatorie e di mantenimento

Per controllare il proprio peso e la propria forma, i maschi anoressici utilizzano lassativi e farmaci in maniera minore rispetto alle donne (25% contro il 50%) ma sono maggiormente coinvolti in attività sportive che enfatizzano la forma fisica e sono più portati a utilizzare l’esercizio eccessivo. Alcuni autori, però, nel proprio campione di osservazione non hanno evidenziato particolari differenze nell’uso di lassativi, nell’esercizio fisico e negli episodi di bingeing, purging e vomito.

Nel campione studiato da Carlat, Camargo et al (1997) il 50% dei soggetti era stato un atleta nel periodo precedente l’esordio della malattia, contro il 27% delle donne con DCA. Sembra delinearsi la tendenza a “nascondere” il disturbo alimentare dietro alle pratiche sportive ed il regime alimentare previsti da attività come l’atletica e lo jogging, considerate nella collettività come indice di una sana condotta di vita. Questa pratica quando raggiunge livelli di eccessiva rigidità e coercizione psichica, conduce spesso all’espressione del disturbo alimentare.


Tratti caratteriali e psicologici

Gli aspetti caratteriali e psicologici degli anoressici sono un argomento scarsamente considerato in letteratura, eccezione fatta per due studi avanzati da Fassino, Abbate-Daga et al. (2001) e Fernandez-Aranda et al. (2004). Entrambe le ricerche condotte su un campione di 15 anoressici, la prima, e di 7 la seconda, hanno utilizzato lo stesso strumento: il TCI (Temperament and Character Inventory di Cloninger et al. 1994), per indagare i tratti caratterologici e di temperamento implicati nel possibile sviluppo di un DCA.

Gli uomini anoressici del campione di Fassino presentavano tratti molto simili a quelli delle donne anoressiche, pur mantenendo alcune indicative differenze di genere; i maschi anoressici variavano notevolmente dal campione maschile di controllo, mentre apparivano molto vicini alla personalità di giovani donne anoressiche. Gli autori comunque suppongono che il disturbo anoressico sia tipicamente femminile. Fernandez- Aranda et al. hanno utilizzato nella loro ricerca, unitamente al TCI, anche l’EDI ed il SCL-90 per la valutazione del proprio campione. Ciò che ne è emerso è una similitudine clinica fra maschi e femmine per età, diagnosi e durata di malattia ed una tendenza ad un esordio più tardivo nei maschi. Gli autori, inoltre, non hanno rilevato grosse discrepanze fra i generi riguardo agli aspetti di perfezionismo o ai rapporti interpersonali.

I maschi mostrano livelli significativamente più bassi delle femmine nella condotta alla magrezza, nella regolazione degli impulsi e nell’insoddisfazione corporea, ma non emergono altre differenze in altre misurazioni sintomatologiche e psicopatologiche.

Tipologie familiari e familiarità

Studi condotti sulle famiglie descrivono situazioni di abusi, separazioni e divorzi dei genitori non dissimili dal campione femminile, ma presenti in misura maggiore rispetto a maschi affetti da disturbo alimentare; nemmeno in questo settore di indagine vi è un consenso unanime, da un’osservazione di Braun et al. (1999) su 31 maschi anoressici emerge che l’incidenza di divorzi nelle famiglie di maschi anoressici è del 35,1% contro il 13,5% del campione femminile. Sembra emergere una tipologia di madre iper-protettiva e dipendente, con un padre emotivamente “distante” dal figlio.

L’ambiente familiare pare essere caratterizzato da un’alta richiesta di perfezione; i figli, nel tentativo di rispondere a queste richieste, spesso vivono sentimenti di scarsa autostima ed inadeguatezza. I padri di maschi anoressici chiedono spesso ai propri figli di eccellere nello sport e di raggiungere un fisico muscoloso e mascolino.

La review della letteratura mette in risalto alcuni aspetti che caratterizzano l’AN nel genere maschile. Ad oggi non esistono studi che possano confermare o smentire in modo indiscutibile l’indipendenza di tale patologia fra i due generi o la loro assoluta omogeneità. La concordanza delle caratteristiche cliniche farebbe supporre l’esistenza dell’AN come patologia primaria anche negli uomini, spesso sottostimata dai curanti per via di stereotipi culturali o per l’assenza di criteri diagnostici adeguati.

La letteratura è carente di studi che indaghino le variabili psicologiche dei maschi anoressici e il loro rapporto con la patologia, che spieghino le cause delle differenze di genere, laddove esse emergono, senza che sussista il dubbio di un risultato falsato dalla inadeguatezza degli strumenti utilizzati. Nell’ambito delle ipotesi sulla psicogenesi della patologia anoressica nel sesso maschile, l’analisi critica del materiale, compresi i trattamenti di casi singoli, porta a pensare al alcune letture possibili del fenomeno.

Scrive Eugenio Borgna: “la dimensione temporale che si ha in una esistenza anoressica femminile, mi sembra radicalmente diversa da quella del tempo che si ha in una esistenza anoressica maschile (…) nella esistenza anoressica maschile si vive in un presente che non ha radici nel passato e che non ha orizzonti di senso che si aprano al futuro. Nella anoressia maschile si vive cioè in una esistenza divorata dal qui-ed-ora, da un presente senza fine.”

I disturbi del comportamento alimentare

E’ molto importante avere informazioni chiare su cosa si intende per “disturbo” alimentare, su che cos’è l’anoressia e la bulimia e quali sono gli altri comportamenti alimentari pericolosi per la salute psicofisica.

Anoressia Nervosa

L’anoressia nervosa è un disturbo che colpisce prevalentemente il sesso femminile (circa il 90-95% dei soggetti sono donne) in età adolescenziale.

Il disturbo consiste in:

  • rifiuto del cibo con grave dimagramento fino a raggiungere l’emaciazione e talvolta la morte;
  • negazione della malattia ovvero di avere una difficoltà rispetto al cibo e a se stesse;
  • distorsione dell’immagine corporea (convinzione di essere grasse nonostante le rassicurazioni degli altri e nonostante una evidente magrezza);
  • intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso;
  • eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli dell’autostima;
  • scomparsa del ciclo mestruale da almeno tre mesi. (A volte il ricorso a terapie ormonali a base di estroprogestinici può far si che le mestruazioni siano regolari anche in persone gravemente malate)
  • un peso corporeo di gran lunga più basso (25% in meno) rispetto a quello previsto in base all’età e alla statura della persona.

L’anoressia nervosa si presenta in sottotipo con restrizioni (rifiuto del cibo ed eccessiva attività fisica) e in sottotipo con abbuffate e condotte di eliminazione (vomito, abuso di lassativi e diuretici).

Bulimia Nervosa

La parola “bulimia” significa, dal greco, “fame da bue”. In realtà non si tratta spesso di fame ma di un disturbo della condotta alimentare in cui un soggetto:

· ingerisce, in un periodo di tempo limitato, quantità di cibo significativamente maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;

· consuma spesso cibo ad alto contenuto calorico durante le abbuffate;

· prova la sensazione di perdere il controllo e di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto sta mangiando;

  • mette in atto “strategie” al fine di ridurre l’impatto delle calorie ingerite: vomito autoindotto e/o assunzione smodata di lassativi (sottotipo con condotte di eliminazione), digiuno nei giorni successivi all’abbuffata e un’intensa attività fisica (sottotipo senza condotte di eliminazione)

Nella Bulimia Nervosa, inoltre, le abbuffate e le condotte compensatorie, si verificano in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.

Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati.

Alcune persone si abbuffano ripetutamente ma non ricorrono regolarmente alle misure estreme di controllo del peso come il vomito o l’abuso di lassativi e l’attività fisica estrema; possono essere obese, anche se in circa la metà dei casi non lo sono, e le loro abbuffate possono essere caratterizzate dalla sensazione di perdere il controllo. Questo disturbo è detto Disturbo da alimentazione incontrollata, traduzione del termine anglosassone binge eating disorder o disturbo da abbuffate compulsive.

Pratiche inefficaci di controllo del peso e complicanze fisiche

Vomito autoindotto

Oltre a sottoporsi ad una dieta ferrea e a routine di esercizio fisico massacrante, molte persone che soffrono di DCA, allo scopo di limitare l'assorbimento di calorie introdotte con la dieta, si inducono spontaneamente il vomito. Questo comportamento può essere influenzato dalla convinzione erronea di eliminare quasi del tutto il cibo ingerito. In realtà studi recenti eseguiti a Pittsburgh (USA) hanno dimostrato che con il vomito si eliminano circa il 50% delle calorie ingerite. Pertanto quando il vomito fa seguito ad una abbuffata ipercalorica, vengono assimilate una quantità di calorie equivalente a quella contenuta in un pasto abbondante. Il vomito comporta conseguenze molto gravi per la salute fisica, esso è infatti causa di disturbi gastrici, danni dentali irreversibili, laringiti acide ad andamento cronico, infiammazioni e rigonfiamenti delle ghiandole salivari. Nei casi più sfortunati un episodio di vomito con conati particolarmente violenti può causare rottura esofagea e morte per emorragia. Il vomito comporta una perdita di elettroliti come il sodio e il potassio particolarmente importanti per l’attività muscolare e cardiaca. Uno scompenso elettrolitico è causa di collasso cardiaco e quindi di morte. Quando un paziente con DCA inizia ad indursi il vomito, il numero delle abbuffate aumenta in maniera vertiginosa, essendo il paziente convinto di aver trovato una bacchetta magica che gli consentirà di mangiare quello che vuole senza rischiare di ingrassare.


Lassativi e diuretici

Le persone che soffrono di un disturbo fanno spesso un uso eccessivo di lassativi e diuretici; tutto questo allo scopo di eliminare le calorie che ritengono di avere assunto in eccesso. I lassativi sono dei farmaci che stimolano l'attività intestinale e l’ eliminazione fecale, mentre i diuretici stimolano l'attività renale ed aumentano l’emissione di urina e quindi non hanno alcun effetto sulle calorie ingerite. I pretesti che vengono più comunemente addotti per giustificare tale abuso sono di solito: la stitichezza (per i lassativi) o la ritenzione idrica (per i diuretici). Entrambi questi sintomi però sono in realtà delle conseguenze dei regimi alimentari incongrui e rappresentano delle reazioni difensive fisiologiche dell'organismo che dovrebbero servire per segnalare dei malfunzionamenti gravi del metabolismo. Quando si usano dei farmaci per forzare l'organismo a reagire in un modo che è al di fuori delle sue possibilità di compenso, allora si entra in un circuito patologico ancora più grave. I lassativi, che in origine erano stati assunti per vincere una supposta stitichezza, provocano, a lungo andare, dei danni all'innervazione della parete intestinale e questo causa poi una stitichezza vera, ostinata ed irreversibile. Mentre i diuretici, che in origine erano stati assunti per vincere una supposta ritenzione idrica, provocano a lungo andare danni renali cui consegue uno scompenso del bilancio dei liquidi e dei sali, il che si riflette poi in una vera e propria causa di ritenzione idrica. L’uso di questi farmaci finalizzato al controllo del peso è inutile e addirittura autolesionistico

Esercizio fisico eccessivo

Le persone affette da DCA, per cercare di contenere il peso corporeo e bruciare calorie praticano spesso esercizio fisico. Si tratta di estenuanti sedute di attività aerobiche come: ginnastica, danza, ciclismo, corsa etc., che possono arrivare a protrarsi anche per diverse ore al giorno, tutti i giorni, con una disciplina rigidissima. E' chiaro che una attività fisica condotta in questo modo, finisce per diventare eccessiva, nella misura in cui, una volta divenuta intoccabile (non è più possibile rinunciare alla seduta quotidiana, se non a prezzo di grandi angosce), comincia ad interferire con lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Non è facile infatti riuscire a trovare il tempo per studiare, lavorare, frequentare amici, se si deve contemporaneamente allenarsi per almeno due-tre ore al giorno. Tra l'altro è stato dimostrato da alcuni ricercatori australiani, il fatto che l'esercizio fisico eccessivo può indurre una ulteriore soppressione del senso di fame. In questo modo si rischia di alimentare un circolo vizioso che tende a mantenere, o peggiorare, un DCA. Si è visto, invece, che quando la paziente comincia a recuperare peso, questo circolo vizioso si interrompe. I rischi dell'esercizio fisico eccessivo sono, quindi, legati all'induzione di un ulteriore effetto digiuno, che porta ad un ulteriore deficit calorico-proteico e, conseguentemente, ad un peggioramento dello stato di denutrizione. Fare attività fisica in condizioni fisiche precarie può essere molto pericoloso: nel migliore dei casi avremo lo sviluppo di danni muscolari ed articolari; nel peggiore avremo: collassi cardio-vascolari e morte per scompenso cardiaco.

La Dieta

La dieta è causa di DCA?

Attualmente, nella popolazione italiana, la frequenza delle pratiche dimagranti ha assunto proporzioni allarmanti: al punto che è difficile trovare qualcuno, tra le donne, ma sempre più anche tra gli uomini, che possa effettivamente dire di non aver mai fatto una dieta dimagrante. E' anche vero che, soprattutto tra le donne, molte persone vivono quasi costantemente alternando periodi di dieta, talvolta molto restrittiva, e periodi di alimentazione normale. Perciò, visto che tanti individui si sottopongono a diete restrittive, perché solo un 5% della popolazione soffre di un DCA clinicamente evidente? La risposta è che la dieta, da sola, non basta a causare un DCA. Perché si sviluppi un DCA, infatti, è necessaria la concorrenza di più fattori predisponenti. Fattori di tipo biologico, di tipo sociale e di tipo familiare. E' necessario, cioè, che vi sia uno stato di vulnerabilità psicologica, che farà sì che soltanto certi individui, ovvero quelli che hanno determinate caratteristiche psicologiche, siano realmente a rischio di sviluppare un DCA. Disturbo che, proprio a seconda delle caratteristiche di personalità del soggetto, potrà essere di un tipo piuttosto che di un altro. Tuttavia è stato dimostrato, fin dagli anni '60, che una dieta restrittiva che porti ad una perdita del 25% del peso corporeo in pochi mesi, è in grado di indurre, in volontari sani di sesso maschile, tutte quelle modificazioni fisiologiche e comportamentali che ritroviamo identiche nei DCA.

Le complicanze mediche più frequenti

Il fatto di soffrire di un disturbo alimentare come l'Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa o il BED può essere alla base di una serie di complicanze mediche che vengono ad aggravare il quadro del disturbo stesso ed a lungo andare possono causare danni fisici irreversibili.

Le complicanze mediche più frequenti dei DCA sono fondamentalmente legate ai danni causati all'organismo dalla dieta ferrea, dal deficit calorico-proteico e dalla perdita di peso a questo conseguente. Anche le condotte di eliminazione e controllo del peso, come il vomito auto-provocato, l'uso incongruo di lassativi e diuretici sono cause di ulteriori complicanze. Nei casi in cui anzichè una perdita abbiamo un aumento di peso, come nel BED, avremo poi tutte le possibili complicanze mediche dell'obesità. Venendo ai dettagli; la più grave delle complicanze è ovviamente la morte. Da studi a lungo termine, che sono stati eseguiti in diversi paesi del mondo, si è visto che la mortalità dell’Anoressia Nervosa va da un minimo del 4% ad un massimo del 18% dei pazienti. Si tratta cioè di un rischio di morte paragonabile a quello delle tossico-dipendenze.

La morte nell'Anoressia Nervosa, è di solito causata dai danni cardiaci, polmonari e renali associati alla denutrizione, al vomito, all’abuso di lassativi e diuretici, all’esercizio fisico eccessivo ma può anche essere legata a condotte auto-aggressive che sono riscontrabili in un 20% circa dei pazienti.

Complicazioni classiche riscontrabili nelle persone affette da un DCA

  • amenorrea (sospensione dei cicli mestruali)
  • anemia (diminuzione dei globuli rossi del sangue)
  • bassa frequenza cardiaca, bassa pressione arteriosa
  • debolezza muscolare
  • insonnia
  • perdita dei capelli,
  • aumento della peluria corporea, secchezza della pelle.
  • osteoporosi (assottigliamento ed aumento della fragilità ossea)
  • ridotta efficienza del tratto gastroenterico, ritardo nello svuotamento gastrico, gonfiori, dolori addominali
  • ridotta temperatura corporea, intolleranza al freddo
  • vertigini
  • depressione

Ogni volta che una persona affetta da DCA presenta una di queste complicanze dovrebbe quantomeno chiedere una consulenza medica per valutarne l’effettiva gravità e mettere in atto le terapie del caso.

TERAPIA DEI DCA

Negli ultimi dieci anni la terapia dei DCA ha fatto dei grandi passi avanti ed oggi siamo in grado di affermare che la maggior parte dei pazienti affetti da DCA, soprattutto i pazienti bulimici, possono essere trattati con successo anche con forme di intervento di durata medio-brevi
(da cinque a dodici mesi di terapia).
Un certo numero di casi lievi può essere trattato con successo con interventi ancora più brevi.

Mentre rimane purtroppo una cospicua quota di pazienti
(per lo più affetti da Anoressia Nervosa) le cui condizioni fisiche e comportamentali rendono più spesso necessario un trattamento ospedaliero che può essere fatto in regime di ricovero o day-hospital.

Per quanto riguarda gli individui affetti da BED non abbiamo ancora dei dati suffcienti ad esprimere degli indici di probabilità, ma si è visto che la maggior parte di loro sembra trarre un beneficio a lungo termine dalle terapie proposte.

Purtroppo esiste un certo numero di pazienti affetti da DCA che non sembra rispondere a nessuno dei trattamenti attualmente disponibili e mostra un andamento cronico del suo disturbo.

Anche in questi casi tuttavia, i moderni approcci terapeutici, si sono dimostrati utili per fornire a questi soggetti un supporto nei momenti di crisi, diminuendi gli indici di mortalità ed aumentando l'aspettativa e la qualità della loro vita.

Il fattore in comune, condiviso da quasi tutte queste forme di terapia è rappresentato dall'integrazione di diversi approcci terapeutici.

Se infatti una minoranza di soggetti sofferenti di forme lievi di DCA ha dimostrato di rispondere efficacemente a qualsiasi tipo di singolo trattamento
(terapia familiare/ terapia cognitivo-comportamentale/ terapia psicodinamica/ terapia interpersonale/ terapia nutrizionale/ terapia psico-farmacologica/ gruppi di supporto, etc.), nella maggior parte degli altri casi è necessario adottare dei modelli terapeutici integrati, che affrontino cioè i diversi aspetti biologici, nutrizionali, psicologici, comportamentali, interpersonali della patologia alimentare.

La terapia ospedalieri dei casi più gravi viene infatti condotta da équipes multidisciplinari composte da medici, nutrizionisti e psicologi tutti addestrati nella terapia integrata dei DCA.

Questo tipo di interventi terapeutici integrati prevedono infatti l’utilizzo di una serie di tecniche terapeutiche che vanno ad erodere progressivamente tutti i fattori di mantenimento della patologia alimentare sia dal punto di vista nutrizionale, che caratteriale, che interpersonale.

Anche i soggetti definiti come cronici vengono gestiti con dei programmi ambulatoriali integrati che hanno lo scopo di mantenere una stabilità dei parametri medici e psicologici che sia compatibile con un discreto benessere.

É importante sottolineare che, nei casi medi o gravi di DCA, non esistono approcci terapeutici singoli che abbiano dimostrato una efficacia anche solo lontanamente comparabile a quella degli approcci integrati.

Anche i diversi psicofarmaci che di volta in volta sono stati consigliati per la terapia farmacologica dei DCA, sono risultati, quando usati da soli, meno efficaci della sola psicoterapia; la loro prescrizione può quindi aver senso solo all'interno di un programma terapeutico integrato.